IL SANTUARIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA AL CALANDRONE

Prof. Sergio Leondi

Milanese di nascita, vive a Linate di Peschiera Borromeo, alle porte della metropoli (sergioleondi@libero.it). Si è laureato nel 1977 con il massimo dei voti e lode all’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, discutendo una tesi sulla storia dell’industria lombarda. Docente di Lettere e storico del territorio, ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni, collabora assiduamente a giornali e riviste, organizza e coordina mostre ed eventi culturali. È socio fondatore del Gruppo Amici della Storia Locale “Giuseppe Gerosa Brichetto”, membro della Società Storica Lombarda e dell’Istituto Storico del Risorgimento. Nel maggio 2010 ha fondato la rivista di storia “I Quaderni del Castello”, della quale è direttore e responsabile. Nella primavera del 2022 ha donato la propria collezione di libri di storia locale, forte di circa 1200 titoli, alla Biblioteca Comunale di Peschiera Borromeo, liberamente consultabili e prenotabili dal pubblico e dagli utenti del sistema bibliotecario dei Comuni dell’est Milano, che ha la propria sede centrale a Melzo (www.cubinrete.it).

Senza nulla togliere agli altri “punti”, tappe e luoghi del presente “Cammino di San Giovanni”, è indubbio che il Santuario di San Giovanni al Calandrone, ubicato nel Comune di Merlino, Diocesi di Lodi, rappresenti un sito di straordinario rilievo, tale per cui possiamo tranquillamente affermare che il percorso è strutturato in funzione della sua presenza sul territorio; tanto più che il Santuario si colloca in posizione quasi centrale rispetto al cammino stesso, all’incirca a metà strada fra le due località geograficamente più estreme: a nord Melzo, a sud Lodi, con la propaggine di Borgo San Giovanni (Comune così denominato perché la parrocchiale è intitolata al “Precursore” di Cristo, patrono del paese, effigiato in una statua del 1828 e, per i momenti salienti della sua vita, su diverse vetrate artistiche della medesima chiesa).

Importanza, di San Giovanni al Calandrone, che gli deriva innanzitutto da motivazioni religiose: da secoli costituisce un faro di spiritualità a 360 gradi, che richiama visitatori e pellegrini da paesi e città anche molto distanti. E questo, a dispetto del suo aspetto “dimesso”, di chiesetta minuscola dispersa nelle campagne dell’alto lodigiano. O piuttosto, è proprio questa la ragione, o una delle ragioni, che la rende così suggestiva, intima, dove chiunque si sente davvero compenetrato dai misteri della fede, circondato da un’aurea di sacralità difficile da rintracciare e vivere altrove.

Contribuisce al suo fascino, il fatto di trovarsi in un contesto ambientale di rara eccellenza: tutt’intorno vecchie cascine e mulini idraulici, borghi dove ancora si respira il profumo del passato, prati coltivati con sapienza e cura, flora e fauna come doni di Dio, da rispettare e amare, con la Muzza, l’Addetta e l’Adda dietro l’angolo, e l’oasi naturalistica della “Lanca del Calandrone”, dove l’omonimo corso d’acqua confluisce nel più grande fiume.

l’ostensione del santissimo

E che dire della storia che sta “alle spalle” del Santuario, del suo substrato storico? Esso sorge là dove c’era ai primordi un insediamento antico suppergiù di 2500 anni, spuntato in riva a un fiumicello chiamato Calandrone, vocabolo che ci riporta alla presenza qui di una tribù di Celti o Galli, fortificatisi all’inizio dentro un recinto fatto con carri da guerra, uomini impavidi e donne virtuose, che adoravano l’acqua corrente, le forze della natura, animali come il cinghiale o uccelli come l’allodola canterina, altrimenti detta “calandra”. Tutti elementi che ci riconducono all’origine del toponimo Calandrone.

Ugualmente affascinante è la genesi celtica del “nodo di San Giovanni” che contraddistingue questo nostro “cammino”, simbolo identitario del solstizio d’estate, celebrante la fertilità della terra, che cade il 24 giugno e dintorni, e che per tale motivo il successivo cristianesimo in un certo senso “riciclò” associandolo alla nascita del Battista Precursore (il Nodo appare fra l’altro scolpito su una stele del Duomo di Orvieto mentre, curiosamente, una sua variante medievale, ossia il nodo o fiore dell’Apocalisse – in cui le quattro estremità o petali sono ogivali -, figura su un portale marmoreo della Cattedrale di San Lorenzo a Genova, nella quale sono custodite le ceneri di San Giovanni Battista, patrono della città ligure).

Dettaglio del Nodo di San Giovanni nel Duomo di Orvieto

È risaputo che in area milanese, al popolo dei Celti subentrano, due secoli prima dell’era cristiana, come conquistatori e dominatori gli antichi Romani: le zolle dei suoli circostanti il Santuario restituiscono di tanto in tanto, specie dopo le arature, cocci e materiali riferibili alla loro epoca (non per niente sui fianchi della chiesa ci sono due sarcofagi in granito o serizzo coevi). Molto probabilmente sui resti del primitivo villaggio celtico prende corpo una “villa rustica” romana, cioè una fattoria dedita alla coltivazione dei terreni, all’allevamento. Sarà così per lungo tempo, forse sino alla dissoluzione dell’Impero (476 d.C.); seguiranno poi i secoli bui delle invasioni barbariche, con le distruzioni e l’abbandono dei centri abitati.

Fino a quando… magari approssimandosi l’anno Mille, qui e da altre parti la vita riprende a fiorire: sovente accanto ai siti consacrati alla religione. Succede come per l’Araba Fenice, il mitico uccello che rinasce dalle proprie ceneri: chissà, magari un pio eremita individua le rovine ai bordi del Calandrone come posto adatto per farvi nascere o risorgere un luogo di culto: e pietra su pietra, mattone su mattone vi innanza un’edicola sacra, un “Oratorio” con dedica a un Santo che, come adesso fa lui stesso, al chiasso preferisce la solitudine del deserto (tale era la zona del Calandrone, un deserto verde in mezzo ai boschi, alla foresta), un Santo Precursore che prediligeva l’acqua, che battezzava chi si recava da  lui con la richiesta che gliela versasse sul capo in segno di purificazione, come aveva fatto San Giovanni col Messia: ecco dunque che vede la luce la “chiesetta” di San Giovanni Battista, alla quale il fiumiciattolo Calandrone fornisce la specificazione, localizzandola.

Sul piano storico, la prima traccia documentata dell’esistenza in loco di una “Ecclesia sancti Johannis ad Calendonum” è contenuta in una pergamena del 1261, la cosiddetta “taglia del notaio Guala”, dal nome del legato pontificio che quell’anno impose al clero della Diocesi di Lodi una tassazione per finanziare la crociata, voluta dal Papa, contro Manfredi di Svevia; orbene, la nostra chiesa, denominata come sopra, sborsa “denarios tres et medium”. Occorre peraltro dire, tuttavia, che già nel 1174 si parlava in zona di beni immobili appartenenti a “San Giovanni”, anticipando a questa data la sua presenza, che quindi ne certificava indirettamente la nascita ancor prima, visto che nel frattempo era riuscita a mettere insieme un certo patrimonio terriero, con ogni evidenza frutto di donazioni e lasciti. Prova che fin da subito essa, grazie a chi vi amministrava i sacramenti (un singolo sacerdote, una comunità monastica?) aveva saputo conquistarsi la fiducia delle genti e dei fedeli, diventando un polo di attrazione religiosa a largo raggio.

Sottostava l’Oratorio del Calandrone alla Pieve di Bariano, della quale si discute in un atto del lontanissimo anno 885; era intitolata a Santa Eufemia e la sua sede si innalzava in un terreno a ovest del vicino mulino Torchio. Quasi sette secoli dopo, per la precisione nel 1574, il Vescovo di Lodi Antonio Scarampo, in visita alla locale Parrocchia, notò che l’ex chiesa capo-pieve di Santa Eufemia era cadente e irreparabile, allora ne decretò lo smantellamento, con il trasporto del titolo dentro la parrocchiale di Merlino, in comunione con Santo Stefano. All’interno di quest’ultima si ammira, in una cappella, una tela attribuita a Bernardino Luini o alla sua scuola, della fine Quattrocento, inizi Cinquecento, raffigurante la Vergine col Bambino tra i Santi Giovanni Battista ed Eurosia, protettrice dei raccolti e invocata contro le grandinate e i fulmini (difatti stringe nella mano destra due saette, suo attributo). Tale cappella fu approntata nel 1749 ed espressamente dedicata al Precursore, a dimostrazione che la venerazione verso di lui era molto forte in paese, e per ovviare all’inconveniente della chiusura e inaccessibilità dell’Oratorio specialmente nel periodo invernale, insomma per avere San Giovanni più a “portata di mano” (in ogni caso giova ricordare che immagini del Battista esistono pressoché in tutte le chiese cattoliche dove è presente il fonte battesimale, con la classica scena del battesimo di Cristo da parte del nostro Santo).

Per quanto riguarda la citata “Ecclesia sancti Johannis ad Calendonum”, ovviamente si trattava di un edificio ancor più modesto nei confronti di quello attuale, risultato di modifiche e ampliamenti succedutisi nel tempo (alle origini c’era soltanto un piccolo fabbricato rettangolare, larghezza 6,5 metri, lunghezza quasi 8). Pure l’affresco visibile oggi sull’altare centrale, rappresentante il Battista vestito di pelli di cammello e col manto rosso-sangue a simboleggiare il martirio, con ai piedi l’Agnello personificazione di Gesù, dipinto databile alla seconda metà del secolo XV, in passato adornava una parete laterale. Fu trasferito col suo supporto murario nel 1781, in occasione del prolungamento dell’abside, finalizzato all’ingrandimento della chiesa (in precedenza era esistita un’altra immagine del Santo titolare, deteriorata, andata distrutta; in epoche diverse al tempietto vennero aggiunti il portico frontale e quelli laterali, infine i “bracci” porticati che parzialmente delimitano l’ampio sagrato).

Nel corso dello stesso secolo abbiamo la testimonianza scritta di “continue grazie” che San Giovanni assicura a chi “piamente lo prega”, di “continui miracoli” elargiti in particolare durante la festa del 24 giugno, Natività del Santo, alla quale accorre una moltitudine di fedeli anche da località remote, quando viene “assegnata l’Indulgenza Plenaria”, la remissione totale dei peccati. Per ringraziare il Battista, i beneficiati tappezzano le pareti interne di “ex voto” con cuori d’argento per “grazia ricevuta”, di quadretti naïfs raffiguranti i miracoli ottenuti, con uno stuolo di stampelle di legno e altri marchingegni, ausiliari della deambulazione, che essi erano costretti a usare “prima del miracolo” (in seguito rimossi).

Le pareti del Santuario decorate con gli ex-voto e i bastoni lasciati a testimonianza

A fare opera “risanatrice” era soprattutto l’acqua che scendeva dentro il sarcofago posto sul lato sud della chiesetta; tramite condutture, proveniva dalla roggia Calandrone; i fedeli si mettevano pazientemente in coda, arrivati all’avello si aspergevano le mani e il viso, bagnavano le parti doloranti, bevevano grossi sorsi, riempivano bottiglie e le portavano a casa per i parenti (talvolta immergevano nel sarcofago oggetti e vestiario, propri o di congiunti ammalati, implorando la grazia, comportamento non proprio consono all’igiene, per cui più tardi venne vietato). Successivamente questa funzione “curativa”, “guaritoria”, è passata all’altra vasca, in quanto la prima ha “subito” dei danneggiamenti, cioè risulta crepata in più punti.

Sulle cause delle rotture è sorta una pia leggenda, certificata dalla scritta soprastante, su lapide: “Un cacciatore vi portò il suo cane malato dicendo: O San Giuan, se te fe’ guarì i Cristian, fa’ guarì anca el mè can. Appena vi immerse il cane, la vasca si spaccò”; forse perché il Santo giudicò poco ortodossa la richiesta? Vero o meno il fatto, a un certo punto l’avello non poté più erogare e contenere l’acqua “miracolosa”, sicché tale “compito” passò alla seconda arca, quella sulla fiancata settentrionale, nella quale è presente anche un mezzo coperchio di sarcofago, autentico, sempre in granito; sopra alla vasca, la seguente iscrizione: “Di San Giovanni il fonte ha due palme, lava il morbo alle membra e il vizio all’alme”.

Uno dei due sarcofaghi romani adibiti a vasca

A fine Ottocento l’Oratorio assume la qualifica di Santuario: l’unico nel Lodigiano a non essere consacrato alla Madonna, escluso quello di San Rocco a Dovera, Comune cremasco, con cappella laterale dedicata a San Giovanni Battista. In Lombardia il nostro “al Calandrone” è il solo a fregiarsi con orgoglio del nome del Battista. In tutta Italia i Santuari a lui dedicati non raggiungono la decina, viceversa le chiese col suo titolo sono numerosissime e il nome “Giovanni” o “Giovanni Battista” è uno dei più diffusi al mondo.

A onor del vero e per la cronaca, nel Comune di Besano in provincia di Varese al confine con la Svizzera esiste una chiesa di San Martino di Tours, patrono del paese, che un po’ impropriamente viene definita “Santuario di San Giovanni Battista”, poiché custodisce nel tabernacolo della cappella a questi dedicata una particolare statuetta ritraente il Precursore di Gesù, oltre che immagini ad affresco del Santo. Secondo la tradizione il simulacro ligneo e policromo fu donato da Teodolinda regina dei Longobardi – i quali consideravano il Battista come loro protettore -, per le felici accoglienze ricevute dalla sovrana a Besano, reduce da un viaggio nella natìa Baviera, diretta a Monza (dove c’era la sua reggia, contigua alla vetusta chiesa di San Giovanni Battista, poi sostituita dal Duomo, alias “Basilica Minore di San Giovanni Battista”). Ritenuta prodigiosa, la sculturina di Besano richiamò folle di sofferenti, sicché ne scaturì la cosiddetta… “Fiera dei Malsani” (! – anticamente, in dialetto, “féra di magagnàa”, dei portatori di magagna = difetto, ovverossia malandati; qualcosa vi si svolge tuttora nella ricorrenza del 24 giugno, sebbene in forma ridotta in confronto al passato). Comunque sia, sulla cuspide del campanile di Besano svetta una statua in pietra arenaria del Precursore alta circa due metri, realizzata nel 1808, di recente restaurata, mentre all’interno del tempio vi è una sua copia perfetta in resina, fatta nel 2021 mediante una stampante 3D.

Per tornare al nostro Santuario merlinese, che si avvale di tutti i crismi dell’ufficialità religiosa, riconosciuto come tale dalle gerarchie cattoliche, si annovera come pellegrino d’eccezione, devotissimo e benefattore, il Cardinale Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano e dal 1963 Sommo Pontefice, col nome di Paolo VI, innalzato agli onori degli altari da Papa Francesco nel 2018. Omonimo del Santo, quando era alla guida della Chiesa Ambrosiana, Montini si recava qui almeno una volta al mese, sul far della sera, e rimaneva in ginocchio a lungo, in preghiera, forse in estasi, davanti al portone chiuso, in ringraziamento per il bene ricevuto.

Nel 1940 il pittore lodigiano Cesare Minestra rinnovò le decorazioni interne del Santuario, laddove il milanese Cesare Secchi realizzò i dipinti murali, rappresentanti gli eventi principali della vita del Santo Precursore: sopra l’altare, il Re Erode Antipa dona la testa di San Giovanni Battista a Salomè; sulla volta centrale la “Predicazione”; sulla parete settentrionale il Battesimo di Gesù; su quella meridionale la “Decollazione”; in alto nell’abside, le tre figure femminili simboleggiano le virtù teologali: Fede, Speranza, Carità. Al medesimo artista Secchi si devono altresì le immagini del Precursore in Gloria, col braccio destro alzato al Cielo, su nuvola e sorretto da putti, al centro della facciata esterna; di San Francesco d’Assisi a braccia incrociate, e di Santa Chiara col libro in mano, visibili sotto al pronao.

Celebrazioni solenni, quelle che hanno luogo il 24 giugno e 29 agosto, rispettivamente dedicate alla Natività e al martirio e morte del Battista. La messa solenne alle ore 8,30 del 24 giugno è presieduta dal Vescovo di Lodi, presente il clero dell’intero circondario, autorità civili e militari; immancabili i volontari dell’UNITALSI (Unione Nazionale Trasporti Ammalati a Lourdes e Santuari Italiani), che vi accompagnano le persone ammalate, bisognose di assistenza: non a caso si suole affermare che San Giovanni Battista al Calandrone “è la nostra piccola Lourdes”. Il Santuario schiude ufficialmente i battenti il lunedì dell’Angelo, vale a dire il giorno successivo alla Pasqua, e rimane aperto fino alla seconda domenica di settembre; l’apertura è soltanto domenicale e festiva, pomeridiana. Per visitare il Santuario in giorni e orari differenti occorre contattare il Rettore, Parroco di Merlino.

Aldilà dell’accezione religiosa e prescindendo dalle potenziali virtù taumaturgiche del Battista propiziate al Santuario del Calandrone, “camminare” verso il tempio di San Giovanni in quel di Merlino assume un significato che trascende il sovrannaturale: essenziale è sentirsi, passo dopo passo, in pace con se stessi, gli altri, la Natura, è fondamentale per conoscere meglio i luoghi e il prossimo.

“Mutatis mutandis”, avere per meta finale, o di transito, questa chiesetta situata in mezzo a campi biondeggianti di grano, in fondo a quella tale stradina sterrata fiancheggiata da tigli profumati, percorsa con sentimento e venerazione, mediante ogni mezzo, da innumerevoli generazioni dai tempi dei tempi e fino ad oggi eppoi domani, assume i contorni di qualcosa di mistico, di indescrivibile, di indicibile a parole, che bisogna sperimentare, “provare” di persona, per cercare e trovare ciò che ciascuno anela. In questo senso il “Cammino di San Giovanni” diventa un simbolo, una vera “bandiera” per tutti: in cui credere, per cui lavorare. Buon cammino e buona visita a tutti!

A chi desideri saperne di più, si consiglia la lettura del libro di Sergio Leondi “San Giovanni Battista al Calandrone. Storia del Santuario. Cenni su Merlino e il territorio”, edito senza scopo di lucro dalla “Cooperativa Sociale Il Carro” di Paullo nel 2013, tel. 0290632032, info@coopilcarro.it